Le fave

Le fave

Le fave sono un tipico alimento primaverile, ci ricordano infatti l’arrivo della bella stagione. Sono il frutto di una pianta, il cui nome scientifico è Vicia faba, appartenente alla famiglia delle Leguminose. L’Italia ne è uno dei maggiori produttori, insieme alla Germania e alla Cina, questa pianta, infatti, predilige i climi temperati.

Possono essere consumate crude o cotte e sono nutrienti e salutari. Come tutti i legumi, contengono una buona dose di proteine (circa 6 g per 100 g), pochissimi lipidi (0,5 g per 100 g), e apportano solo 40 kcal per 100 grammi. Hanno inoltre un buon contenuto di fibra (ben 21 g per 100 g di prodotto secco e 5 g per 100 g di prodotto fresco) e sono ricche di sali minerali (in particolare potassio e ferro).

Le fave contengono levodopa, un precursore della dopamina, che è un neurotrasmettitore normalmente prodotto nel nostro cervello. In medicina la levodopa è spesso utilizzata per alleviare i sintomi del morbo di Parkinson, che è una malattia caratterizzata da una diminuzione della sintesi di dopamina. E’ stato quindi ipotizzato che il consumo di fave possa alleviare i sintomi della malattia di Parkinson agendo allo stesso modo dei farmaci contenenti levodopa, ipotesi confermata da una serie di sudi condotti a partire dagli anni ’90 [1,2].

Le fave inoltre rientrano a pieno titolo in quella serie di alimenti che a causa del loro contenuto in sostanze antiossidanti, vantano proprietà antitumorali. Esse infatti contengono polifenoli che esercitano anche effetti inibitori sull’enzima che converte l’angiotensina II (ACE), implicato nella genesi dell’ipertensione. Gli antiossidanti contenuti nelle fave, inoltre, influenzano l’azione di due enzimi, l’alpha-glucosidasi e la lipasi, coinvolti rispettivamente nella regolazione dell’assorbimento degli zuccheri e dei grassi [3].

Purtroppo, non tutti possono godere dei benefici di questi legumi, poiché sono molto pericolosi per chi soffre di favismo, una patologia ereditaria dovuta alla carenza dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi, che provoca la distruzione dei globuli rossi. Chi ne soffre non può mangiare fave né piselli.

[1] Rabey J.M., Vered Y., Shabtai H., Graff E., Korczyn A.D. Improvement of parkinsonian features correlate with high plasma levodopa values after broad bean (Vicia faba) consumption. J. Neurol. Neurosurg. Psychiatry (1992) 55, 725-727.

[2] Rabey J.M., Vered Y., Shabtai H., Graff E., Harsat A., Korczyn A.D. Broad bean (Vicia faba) consumption and Parkinson’s disease. Adv. Neurol. (1993) 60, 681-684.

[3] Siah S.D., Konczak I., Agboola S., Wood J.A., Blanchard C.L. In vitro investigations of the potential health benefits of Australian-grown faba beans (Vicia faba L.): chemopreventative capacity and inhibitory effects on the angiotensin-converting enzyme, alpha-glucosidase and lipase. British J. of Nutrition, (2012) 108, S123-S134.

Il radicchio

Il radicchio

Il radicchio, ortaggio tipicamente invernale, appartiene alla famiglia delle Composite, ed è anche chiamato cicoria rossa. In Italia la sua coltivazione è diffusa soprattutto nel Veneto, laddove vengono prodotte le famose varietà note come Radicchio di Verona, di Treviso e di Chioggia.

Le foglie di radicchio contengono una gran quantità di antocianine, dei composti fenolici ad azione antiossidante, che si sono recentemente dimostrati in grado di esercitare un effetto protettivo sulle cellule intestinali [1], diventando così dei potenziali alleati per la salute dell’intestino. Inoltre, le antocianine esercitano un effetto protettivo sulle pareti dei vasi sanguigni e sono dunque preziose per contrastare le patologie ischemiche.

Il radicchio è fonte di vitamine del gruppo B, quali la vitamina B9 (acido folico), la B5, la B6, la B1 e la B3, oltre che di vitamina K. E’ particolarmente ricco di minerali, quali ferro, rame, manganese, fosforo, calcio, zinco e potassio, importanti per molte funzioni dell’organismo fra cui l’equilibrio della pressione sanguigna e il metabolismo delle ossa.

Essendo composto per il 94% da acqua, il radicchio ha proprietà depurative ed aiuta le funzioni intestinali, grazie anche alle fibre in esso contenuto, che oltre ad essere un toccasana per il colon, hanno effetto ipoglicemizzante. Con il suo ridotto apporto calorico (13 kcal per 100 g), si presta ad essere consumato in grandi quantità, sia cotto che crudo.

Le sostanze amare contenute nel radicchio stimolano la produzione dei succhi gastrici, favorendo così la digestione e le funzioni epatiche ed in particolare l’inibitina (detta anche lattucopicrina) ha un blando effetto sedativo ed analgesico, infatti nella tradizione popolare il radicchio viene usato come rimedio contro l’insonnia.

[1] D’evoli, L., Morroni, F., Lombardi-Boccia, G., Lucarini,M., Hrelia, P., Cantelli-Forti, G., Tarozzi, A. Red Chicory (Cichorium intybus L. cultivar) as a Potential Source of Antioxidant Anthocyanins for Intestinal Health. Oxidative Medicine and Cellular Longevity (2013), Article ID 704310.

Le fragole

Le fragole

L’arrivo delle fragole annuncia finalmente l’inizio della primavera e colora di rosso le nostre tavole.

La fragola è probabilmente il frutto più amato, grazie al suo sapore dolce e al suo intenso profumo. Le sue proprietà estetiche si accompagnano a notevoli effetti salutari, infatti la fragola ha un alto potere antiossidante e antinfiammatorio grazie al suo contenuto in antocianine e flavonoidi e la combinazione di queste sostanze le conferisce proprietà benefiche per l’apparato cardio-circolatorio.

Le fragole contengono ben 54 mg di vitamina C per 100 g, il che le rende uno dei frutti con il più alto contenuto di questa vitamina ad alto potere antiossidante. Inoltre sono un’ottima fonte di manganese, cofattore di enzimi chiave per la regolazione di reazioni antiossidanti.

E’ stato dimostrato [1] che le fragole sono in grado di ridurre i livelli di colesterolo totale ed LDL (colesterolo cattivo) circolanti e di ridurre l’attività dell’enzima convertitore dell’angiotensina-I (ACE), la cui iperattività aumenta il rischio di ipertensione.

Recentemente oggetto di studio [2] è stata la capacità delle fragole di ridurre la glicemia: sembra che un particolare tipo di polifenoli presenti in questo frutto, l’ellagitannino, giochi un ruolo importante nella regolazione della glicemia, probabilmente inibendo l’attività dell’enzima alfa-amilasi, che è responsabile della scissione dell’amilosio in zuccheri semplici, per cui quando l’attività di tale enzima è ridotta, vengono rilasciati meno zuccheri nel sangue.

Il potere anti-cancro delle fragole è stato a lungo studiato e lo è tuttora [3, 4]. Tale capacità risiede nell’azione dei fitonutrienti in esse contenuti che da una parte rafforzano l’attività di enzimi antiossidanti e dall’altra indeboliscono l’azione di enzimi implicati in reazioni infiammatorie.

Le fragole hanno anche un buon contenuto di vitamina E, K e soprattutto di acido folico. Da sottolineare poi il basso apporto calorico che forniscono (meno di 40 kcal per 100 g) e l’alto contenuto di fibre. Per questi motivi e per le loro caratteristiche organolettiche le fragole si prestano ad essere consumate in vari momenti della giornata come spuntino oppure per concludere un pasto leggero, magari accompagnate da una pallina di gelato o da un vasetto di yogurt, ma sempre fresche, poiché la cottura inattiva i loro numerosi nutrienti.

[1] Burton-Freeman B., Linares A., Hyson D. et al. Strawberry Modulates LDL Oxidation and Postprandial Lipemia in Response to High-Fat Meal in Overweight Hyperlipidemic Men and Women. J. Am. Coll. Nutr. (2010) 29, 46-54.

[2] Pinto Mda S., de Carvalho J.E., Lajolo F.M., et al. Evaluation of antiproliferative, anti-type 2 diabetes, and antihypertension potentials of ellagitannins from strawberries (Fragaria × ananassa Duch.) using in vitro models. J. Med. Food. (2010) 13, 1027-35.

[3] Wedge D.E., Meepagala K.M., Magee J.B. et al. Anticarcinogenic Activity of Strawberry, Blueberry, and Raspberry Extracts to Breast and Cervical Cancer Cells. J. Med. Food. (2004) 4, 49-51.

[4] Stoner G.D., Chen T., Kresty L.A. et al. Protection Against Esophageal Cancer in Rodents With Lyophilized Berries: Potential Mechanisms. Nutr. Cancer. (2006) 54, 33-46.

Gli effetti della carenza di fibre

Gli effetti della carenza di fibre

Recentemente una review di Michael R. Lyon e Veronica Kacinik [1] ha illustrato come la carenza di fibre nella dieta possa avere effetti deleteri sulla nostra salute.

Studi sperimentali ed epidemiologici, condotti nel corso degli anni, dimostrano una significativa associazione fra la mancanza di fibre nella dieta e l’insorgenza di malattie cardiache, aterosclerosi, diabete di tipo 2, obesità, insulino resistenza, ipertensione, dislipidemie, disordini gastrointestinali, cancro del colon [2]. Inoltre è noto che le fibre hanno un impatto diretto sulla velocità della digestione e sul senso di sazietà e pertanto hanno importanti effetti sul controllo del sovrappeso e dell’obesità.

Alcuni tipi di fibre possono diminuire la risposta glicemica agli alimenti, abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, promuovere la regolarità intestinale, influenzare positivamente la microflora del colon, sequestrare ed eliminare composti tossici o cancerogeni introdotti con la dieta. Le fibre, infatti, influenzano il volume e la viscosità del cibo nello stomaco, determinando così un senso di sazietà che si traduce naturalmente in una diminuzione dell’introito calorico.

Una caratteristica delle fibre è la viscosità, che determina la riduzione della risposta glicemica post-prandiale, promuove la sazietà, diminuisce i livelli di colesterolo e acidi urici nel sangue [3, 4]. Vediamo come: le fibre viscose aumentando il tempo di transito del cibo nell’intestino, abbassano la velocità di digestione e assorbimento ed il conseguente prolungamento dell’esposizione della mucosa enterica ai macronutrienti così ottenuto aumenta la liberazione di peptidi anoressizzanti, ossia di quelle sostanze che diminuiscono lo stimolo dell’appetito [5].

La capacità delle fibre di assorbire e trattenere l’acqua durante il transito nell’apparato digerente è il fattore chiave che determina i loro effetti. Le fibre possono essere solubili o insolubili. Le fibre solubili hanno l’abilità di creare un gel stabile che occupa il volume dello stomaco dando così un senso di sazietà senza assumere calorie addizionali. Il nostro organismo è incapace di digerire le fibre e la maggior parte della flora microbica dello stomaco non può utilizzare le fibre insolubili come sorgente di energia, per cui queste sono eliminate facilitando il transito intestinale e regolando l’assorbimento di zuccheri e grassi. Le fibre solubili sono invece utilizzabili da alcuni batteri che le usano come substrati. Tali fibre sono definite prebiotiche in quanto capaci di promuovere la crescita di flora microbica benefica presente nell’apparato digerente e di ridurre la popolazione di flora potenzialmente dannosa. Recenti studi dimostrano che tale effetto potrebbe avere un ruolo importante nella riduzione dell’adiposità e del contributo degli adipociti a processi infiammatori associati con l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari [6, 7]. La mancanza di un sufficiente introito di prebiotici durante i primi anni di vita può avere effetti a lungo termine sulla regolazione glicemica che porterebbe ad una predisposizione a sviluppare diabete, obesità e malattie cardiovascolari da adulti [8].

I Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la Popolazione Italiana del 2012 (LARN) prevedono che un adeguato apporto di fibre nella dieta corrisponda ad almeno 25 g al giorno per gli adulti e circa 8 g al giorno per i bambini e purtroppo spesso questi valori non sono raggiunti nei nostri regimi alimentari.

[1] Lyon M. R., Kacinik V. Is there a place for dietary fiber supplements in weight management? Curr. Obes. Rep. (2012) 1, 59–67.

[2] Timm D., Slavin J. Dietary fiber and the relationship to chronic diseases. Am. J. Lifestyle Med. (2008) 2, 233–40.

[3] Koguchi T., Nakajima H., Koguchi H., et al. Suppressive effect of viscous dietary fiber on elevations of uric acid in serum and urine induced by dietary RNA in rats is associated with strength of viscosity. Int. J. Vitam. Nutr. Res. (2003) 73, 369–76.

[4] Kristensen M., Jensen M. G. Dietary fibres in the regulation of appetite and food intake. Importance of viscosity. Appetite (2011) 56, 65–70.

[5] Chaudhri O., Small C., Bloom S. Gastrointestinal hormones regu-lating appetite. Phil. Trans. Biol. Sci. (2006) 361, 1187–209.

[6] Dewulf E.M., Cani P.D., Neyrink A.M., et al. Inulin-type fructans with prebiotic properties counteract GPR43 overexpression and PPARgamma-related adipogenesis in the white adipose tissue of high-fat diet-fed mice. J. Nutr. Biochem. (2011) 22, 712–722.

[7] Delzenne N.M., Cani P.D. Interaction between obesity and the gut microbiota: relevance in nutrition. Annu. Rev. Nutr. (2011) 31, 15–31.

[8] Maurer A.D., Eller L.K., Hallam M.C., et al. Consumption of diets high in prebiotic fiber or protein during growth influences the response to a high fat and sucrose diet in adulthood in rats. Nutr. Metab. (2010) 7, 77.

I finocchi

I finocchi

Fra la verdura di stagione non poteva mancare il finocchio, ortaggio dalle innumerevoli proprietà. Si tratta di una coltivazione tipica dell’area mediterranea, originaria dell’Asia Minore. E’ tuttora possibile, nelle campagne del centro e del sud Italia, trovare piante di finocchio selvatico, riconoscibili in estate grazie ai loro fiori gialli a forma di ombrello che danno il nome alla famiglia a cui appartengono, le Ombrellifere, di cui fanno parte anche carote, sedano, prezzemolo, coriandolo, aneto.

Chi segue un regime alimentare ipocalorico sa bene che il finocchio è un grande alleato nel mantenimento della forma fisica: esso fornisce infatti 9 kcal per 100 g e contiene il 93% di acqua.

Gli effetti benefici sull’organismo sono dovuti soprattutto alle sue proprietà antiossidanti, esso infatti contiene flavonoidi quali quercitina, rutina e kempferolo che insieme alla vitamina C, anch’essa abbondante nei finocchi, esercitano azione antinfiammatoria e protettiva andando a neutralizzare i radicali liberi. Studi condotti su composti fitochimici da Aggarwal e Shishodia del Dipartimento di Bioimmunoterapia dell’Università del Texas dimostrano che un composto presente nel finocchio, chiamato anetolo, conferisce all’ortaggio proprietà antitumorali, infatti, questo agirebbe attraverso la soppressione del fattore NF-KB, alla base di processi infiammatori tipici del cancro, l’aterosclerosi, il diabete, e vari altri.

Il notevole contenuto in fibre fa sì che il finocchio abbia effetti positivi sul colon e sull’apparato cardiovascolare, andando ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue. Fra i sali minerali è particolarmente abbondante il potassio, importante per l’equilibrio idrico dell’organismo insieme al sodio e anche per il corretto funzionamento del sistema cardiovascolare, muscolare e nervoso.

Al finocchio sono attribuite proprietà galattogoghe, ossia sarebbe in grado di stimolare la produzione di latte nelle neo mamme, ma in realtà tale effetto non è mai stato dimostrato. Nonostante ciò il finocchio rimane comunque un valido alimento durante l’allattamento, proprio in virtù delle caratteristiche appena esposte. Esso inoltre calma gli spasmi addominali ed evita la formazione di gas, per questo motivo è da sempre consigliato fin dalla primissima infanzia in forma di infusi. Studi recenti però dimostrano che grandi quantità di tisane o infusi a base di semi di finocchio potrebbero rivelarsi tossiche a causa della presenza di estragolo che agirebbe da agente cancerogeno, pertanto la loro somministrazione non è consigliata ai neonati, sebbene altri studi dimostrino che la tossicità di tale componente sia controbilanciata dai numerosi antiossidanti presenti nei semi che avrebbero invece un ruolo protettivo.