Le albicocche

Le albicocche

L’albicocca è il frutto di una pianta appartenente alla famiglia delle Rosacee, a cui appartengono anche la pianta della ciliegia, della pesca e della prugna. E’ originaria della Cina, ma ora ampiamente coltivata in Francia, Italia, Stati Uniti, Spagna e Grecia. Ne esistono diverse varietà ma tutte hanno in comune, oltre ad un gradevole sapore dolce, un elevato contenuto di vitamina C ed A, dei potenti antiossidanti che difendono cellule e tessuti dall’attacco dei radicali liberi. Per questo motivo le albicocche proteggono la nostra vista: uno studio del 2004 ha dimostrato che il consumo di 3 o più porzioni al giorno di frutta, fra cui le albicocche, può ridurre il rischio di sviluppare la degenerazione maculare, cioè la causa maggiore di grave riduzione visiva nei soggetti anziani [1].

L’alto contenuto in beta carotene, inoltre, protegge il colesterolo LDL (il colesterolo “cattivo”) dall’ossidazione aiutandoci a prevenire le malattie cardiovascolari. E’ ben noto che i composti antiossidanti hanno un ruolo chiave nel difenderci da tali malattie e gli antiossidanti contenuti nelle albicocche sono stati oggetto di vari studi scientifici che hanno dimostrato che i composti che si formano durante il processo di disidratazione (quindi di riscaldamento delle albicocche), composti facenti parte del gruppo delle melanoidine, esercitano una notevole azione protettiva contro gli stress ossidativi che si verificano normalmente nelle cellule e che sono alla base di molte disfunzioni del sistema cardiovascolare [2]. Sarebbe molto salutare quindi inserire nella nostra dieta una porzione al giorno di albicocche disidratate.

Le albicocche sono una buona fonte di fibre, indispensabili per il buon funzionamento dell’intestino. Hanno infatti un leggero effetto lassativo dovuto al contenuto in cellulose e pectine. Mangiare le albicocche, pertanto, è un modo molto gradevole di introdurre fibre nella nostra alimentazione, che spesso ne è povera.

Così come le prugne e le pesche, le albicocche hanno un alto contenuto di ferro. In particolare, 100 grammi di albicocche disidratate contengono il doppio del ferro contenuto in 100 grammi di carne, ma senza grassi. Per questo motivo sono state usate fin dai tempi antichi come rimedio per l’anemia. Esse inoltre ci forniscono una buona dose di potassio, minerale importante per combattere la ritenzione idrica e l’ipertensione.

L’olio di albicocca, ottenuto dalla spremitura dei noccioli, è molto usato nel campo cosmetico poiché ha azione emolliente ed elasticizzante ed anche calmante sulla cute infiammata.

Tutte queste proprietà rendono l’albicocca il frutto ideale per chi ha problemi di sovrappeso, con il suo basso contenuto calorico (28 kcal per 100 grammi) e l’alto contenuto in acqua (86% circa) e fibre (1.5 grammi per 100 grammi).

[1] Cho E., Seddon J.M., Rosner B., Willett W.C., Hankinson S.E. Prospective study of intake of fruits, vegetables, vitamins, and carotenoids and risk of age-related maculopathy. Arch Ophthalmol. (2004) 122, 883-892.


[2]
Cossu A., Posadino A.M., Giordo R., Emanueli C., Sanguinetti A.M., Piscopo A., Poiana M., Capobianco G., Piga A., Pintus G. Apricot Melanoidins Prevent Oxidative Endothelial Cell Death by Counteracting Mitochondrial Oxidation and Membrane Depolarization. Plos One (2012) 7, e48817.

Il kiwi

Il kiwi

Il kiwi è un frutto originario della Cina ormai diffusissimo anche in Italia che ne è, oggi, il secondo produttore al mondo dopo la stessa Cina. Nel Novecento il kiwi è stato esportato in Nuova Zelanda ed è qui che ha preso il suo nome attuale, dall’uccello tipico di questo Stato (noto anche come Apteryx).

Gennaio, febbraio e marzo sono i mesi tipici di maturazione del kiwi, anche se lo si trova ormai sul mercato quasi per tutto l’anno grazie, principalmente, alla sua facilità di conservazione.

Guardando il profilo nutrizionale del kiwi ciò che salta immediatamente all’occhio è l’elevato contenuto in vitamine e sali minerali, in particolare vitamina C, che supera anche quello delle arance (50 mg contro 85 mg in 100 g). Contiene un gran numero di flavonoidi e carotenoidi che gli conferiscono proprietà antiossidanti, tanto da renderlo un noto agente protettivo contro i danni al DNA [1]. Un adeguato apporto di vitamina C con la dieta si è dimostrato molto utile nel ridurre i problemi causati da artriti ed asma e nel prevenire patologie come il cancro al colon, l’arteriosclerosi, i disturbi cardiovascolari. Dal momento che questa vitamina è fondamentale per il funzionamento del sistema immunitario, aiuta anche nel lenire disturbi infiammatori.

Il kiwi è una buona fonte di potassio che, agendo in sinergia con la vitamina C e i polifenoli in esso contenuto, contribuisce alla salute delle arterie riducendo il rischio di formazione di placche e riducendo i livelli di trigliceridi nel sangue. Tali effetti benefici sul sistema cardiovascolare sono rafforzati dalle fibre di cui il kiwi è ricco, che contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo e di zuccheri nel sangue ed inoltre sono un toccasana per l’intestino. Infatti, oltre a regolarizzarne le funzioni, rimuovono le tossine dal colon riducendo i rischi di cancro a questo organo. E’ importante osservare che chi soffre di diverticolosi del colon, patologia caratterizzata dalla formazione di tasche intestinali soggette ad infiammazioni, dovrebbe evitare il kiwi a causa della presenza dei numerosi semini.

Da segnalare, inoltre, l’alto contenuto di acido folico, che lo rende il frutto ideale da mangiare in gravidanza. La vitamina C e acido folico, insieme, favoriscono l’assorbimento del ferro contenuto negli alimenti, per cui il kiwi è particolarmente indicato anche per chi soffre di anemia.

Il kiwi è un frutto a basso contenuto calorico, fornisce infatti 44 kcal ogni 100 g. Servito con dello yogurt è uno spuntino leggero e salutare ed è ideale anche a colazione, magari insieme a dei cereali, come fonte di vitamine e sali minerali fin dal mattino.

[1] Burton-Freeman B., Linares A., Hyson D. et al. Strawberry Modulates LDL Oxidation and Postprandial Lipemia in Response to High-Fat Meal in Overweight Hyperlipidemic Men and Women. J. Am. Coll. Nutr. (2010) 29, 46-54.

L’obesità infantile

L'obesità infantile

L’incidenza dell’obesità infantile negli ultimi anni è in rapida ascesa, anche in Italia. Infatti, un’indagine promossa dal Ministero della Salute stima che il 10% dei bambini di età compresa fra i 6 e gli 11 anni sia obeso e che il 22% sia in sovrappeso [1].

Numerosi studi dimostrano che sovrappeso ed obesità durante l’infanzia e l’adolescenza sono altamente correlati con sovrappeso ed obesità in età adulta. I risultati di un noto studio di Aviva Must e dei suoi collaboratori [2] mostrano come il sovrappeso durante l’adolescenza sia correlato con un aumento dell’incidenza di patologie e della mortalità da adulti per malattie cardiovascolari ed altri disturbi cronici. Inoltre, anche i soggetti che perdono peso in età adulta a seguito di condizioni di obesità sviluppate durante l’adolescenza, rischiano gravi problemi di salute, suggerendo che è proprio durante l’adolescenza che l’obesità può attivare meccanismi associati a rischi in età adulta.

Più recentemente si sta anche rivelando il ruolo potenziale della crescita nel periodo intrauterino e durante il primo anno di vita come predittore di rischio cardiovascolare e obesità in età adulta [3].

Così come gli adulti, i bambini in moderato sovrappeso mostrano un aumento nei livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”), mentre bambini obesi mostrano anche aumenti nei livelli di trigliceridi ed, a volte, un aumento della pressione arteriosa oltre al diabete di tipo 2 [4, 5]. Altri problemi di salute associati con l’obesità e il sovrappeso nei bambini sono steatosi epatica ed epatiti, infezioni fungine della pelle, problemi osteoarticolari e, non per ultimi, problemi del comportamento che includono mancanza di autostima, depressione, ansietà, tendenza all’isolamento [6].

Spesso non è possibile individuare le vere cause dell’obesità infantile poiché solo raramente essa è dovuta ad alterazioni nei livelli ormonali. Più spesso, invece, è il risultato di una serie di ragioni quali una cattiva alimentazione, una scarsa attività fisica e sbagliate abitudini di vita. Senza dubbio, infatti, un ruolo chiave nell’obesità infantile è svolto dall’ambiente familiare, ossia dalle abitudini alimentari e dallo stile di vita che la famiglia propone al bambino. E’ fondamentale offrire al bambino un’alimentazione adeguata alla sua età sia in termini di quantità che di qualità degli alimenti, insegnargli a mangiare e ad apprezzare i cibi della nostra tradizione e coinvolgerlo nella preparazione dei pasti.
E’ necessario insegnare ai bambini e agli adolescenti a mangiare in modo sano e ad apprezzare i sapori semplici, ben diversi da quelli che l’industria e il marketing ci propongono quotidianamente. Basta dedicare ai nostri bambini un po’ del nostro tempo e non lasciarli a se stessi di fronte ad un frigorifero, spesso pieno di “calorie vuote”. A ciò si deve naturalmente associare l’attività fisica, nel rispetto dell’età e delle preferenze del bambino stesso, allo scopo di evitare la sedentarietà e l’isolamento. Osservare criticamente i nostri bambini è la chiave per intervenire in tempo evitando loro seri problemi.

[1] Istituto Superiore di Sanità, OKkio alla SALUTE: Sintesi dei risultati 2012.

[2] Must A., Jacques P.F., Dallal G.E., Bajema C.J., Dietz W.H. Long term morbidity and mortality of overweight adolescents: a follow-up of the Harvard Growth Study of 1922 to 1935. N. Engl. J. Med. (1992) 327, 1350-1355.

[3] Dietz W.H., Gortmaker S.L. .Preventing obesity in children and adolescents. Annu. Rev. Public Health. (2001) 22, 337–353.

[4] Pinhas-Hamiel O., Dolan L.M., Daniels S.R., Standiford D., Khoury P.R., Zeitler P. Increased incidence of non-insulin-dependent diabetes mellitus among adolescents. J. Pediatr. (1996) 128, 608–615.

[5] Couch S.C., Cross A.T., Kida K., Ross E., Plaza I., Shea S., Deckelbaum R. Rapid Westernization of children’s blood cholesterol in 3 countries: evidence for nutrient-gene interactions? Am. J. Clin. Nutr. (2000) 72(5 suppl), 1266S-1274S.

[6] Williams C.L. Can childhood obesity be prevented? Bendich A., Deckelbaum R.J. , eds. Primary and Secondary Preventive Nutrition. Totowa, NJ: Humana Press (2001) 185–204.

Le fragole

Le fragole

L’arrivo delle fragole annuncia finalmente l’inizio della primavera e colora di rosso le nostre tavole.

La fragola è probabilmente il frutto più amato, grazie al suo sapore dolce e al suo intenso profumo. Le sue proprietà estetiche si accompagnano a notevoli effetti salutari, infatti la fragola ha un alto potere antiossidante e antinfiammatorio grazie al suo contenuto in antocianine e flavonoidi e la combinazione di queste sostanze le conferisce proprietà benefiche per l’apparato cardio-circolatorio.

Le fragole contengono ben 54 mg di vitamina C per 100 g, il che le rende uno dei frutti con il più alto contenuto di questa vitamina ad alto potere antiossidante. Inoltre sono un’ottima fonte di manganese, cofattore di enzimi chiave per la regolazione di reazioni antiossidanti.

E’ stato dimostrato [1] che le fragole sono in grado di ridurre i livelli di colesterolo totale ed LDL (colesterolo cattivo) circolanti e di ridurre l’attività dell’enzima convertitore dell’angiotensina-I (ACE), la cui iperattività aumenta il rischio di ipertensione.

Recentemente oggetto di studio [2] è stata la capacità delle fragole di ridurre la glicemia: sembra che un particolare tipo di polifenoli presenti in questo frutto, l’ellagitannino, giochi un ruolo importante nella regolazione della glicemia, probabilmente inibendo l’attività dell’enzima alfa-amilasi, che è responsabile della scissione dell’amilosio in zuccheri semplici, per cui quando l’attività di tale enzima è ridotta, vengono rilasciati meno zuccheri nel sangue.

Il potere anti-cancro delle fragole è stato a lungo studiato e lo è tuttora [3, 4]. Tale capacità risiede nell’azione dei fitonutrienti in esse contenuti che da una parte rafforzano l’attività di enzimi antiossidanti e dall’altra indeboliscono l’azione di enzimi implicati in reazioni infiammatorie.

Le fragole hanno anche un buon contenuto di vitamina E, K e soprattutto di acido folico. Da sottolineare poi il basso apporto calorico che forniscono (meno di 40 kcal per 100 g) e l’alto contenuto di fibre. Per questi motivi e per le loro caratteristiche organolettiche le fragole si prestano ad essere consumate in vari momenti della giornata come spuntino oppure per concludere un pasto leggero, magari accompagnate da una pallina di gelato o da un vasetto di yogurt, ma sempre fresche, poiché la cottura inattiva i loro numerosi nutrienti.

[1] Burton-Freeman B., Linares A., Hyson D. et al. Strawberry Modulates LDL Oxidation and Postprandial Lipemia in Response to High-Fat Meal in Overweight Hyperlipidemic Men and Women. J. Am. Coll. Nutr. (2010) 29, 46-54.

[2] Pinto Mda S., de Carvalho J.E., Lajolo F.M., et al. Evaluation of antiproliferative, anti-type 2 diabetes, and antihypertension potentials of ellagitannins from strawberries (Fragaria × ananassa Duch.) using in vitro models. J. Med. Food. (2010) 13, 1027-35.

[3] Wedge D.E., Meepagala K.M., Magee J.B. et al. Anticarcinogenic Activity of Strawberry, Blueberry, and Raspberry Extracts to Breast and Cervical Cancer Cells. J. Med. Food. (2004) 4, 49-51.

[4] Stoner G.D., Chen T., Kresty L.A. et al. Protection Against Esophageal Cancer in Rodents With Lyophilized Berries: Potential Mechanisms. Nutr. Cancer. (2006) 54, 33-46.

Gli effetti della carenza di fibre

Gli effetti della carenza di fibre

Recentemente una review di Michael R. Lyon e Veronica Kacinik [1] ha illustrato come la carenza di fibre nella dieta possa avere effetti deleteri sulla nostra salute.

Studi sperimentali ed epidemiologici, condotti nel corso degli anni, dimostrano una significativa associazione fra la mancanza di fibre nella dieta e l’insorgenza di malattie cardiache, aterosclerosi, diabete di tipo 2, obesità, insulino resistenza, ipertensione, dislipidemie, disordini gastrointestinali, cancro del colon [2]. Inoltre è noto che le fibre hanno un impatto diretto sulla velocità della digestione e sul senso di sazietà e pertanto hanno importanti effetti sul controllo del sovrappeso e dell’obesità.

Alcuni tipi di fibre possono diminuire la risposta glicemica agli alimenti, abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, promuovere la regolarità intestinale, influenzare positivamente la microflora del colon, sequestrare ed eliminare composti tossici o cancerogeni introdotti con la dieta. Le fibre, infatti, influenzano il volume e la viscosità del cibo nello stomaco, determinando così un senso di sazietà che si traduce naturalmente in una diminuzione dell’introito calorico.

Una caratteristica delle fibre è la viscosità, che determina la riduzione della risposta glicemica post-prandiale, promuove la sazietà, diminuisce i livelli di colesterolo e acidi urici nel sangue [3, 4]. Vediamo come: le fibre viscose aumentando il tempo di transito del cibo nell’intestino, abbassano la velocità di digestione e assorbimento ed il conseguente prolungamento dell’esposizione della mucosa enterica ai macronutrienti così ottenuto aumenta la liberazione di peptidi anoressizzanti, ossia di quelle sostanze che diminuiscono lo stimolo dell’appetito [5].

La capacità delle fibre di assorbire e trattenere l’acqua durante il transito nell’apparato digerente è il fattore chiave che determina i loro effetti. Le fibre possono essere solubili o insolubili. Le fibre solubili hanno l’abilità di creare un gel stabile che occupa il volume dello stomaco dando così un senso di sazietà senza assumere calorie addizionali. Il nostro organismo è incapace di digerire le fibre e la maggior parte della flora microbica dello stomaco non può utilizzare le fibre insolubili come sorgente di energia, per cui queste sono eliminate facilitando il transito intestinale e regolando l’assorbimento di zuccheri e grassi. Le fibre solubili sono invece utilizzabili da alcuni batteri che le usano come substrati. Tali fibre sono definite prebiotiche in quanto capaci di promuovere la crescita di flora microbica benefica presente nell’apparato digerente e di ridurre la popolazione di flora potenzialmente dannosa. Recenti studi dimostrano che tale effetto potrebbe avere un ruolo importante nella riduzione dell’adiposità e del contributo degli adipociti a processi infiammatori associati con l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari [6, 7]. La mancanza di un sufficiente introito di prebiotici durante i primi anni di vita può avere effetti a lungo termine sulla regolazione glicemica che porterebbe ad una predisposizione a sviluppare diabete, obesità e malattie cardiovascolari da adulti [8].

I Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la Popolazione Italiana del 2012 (LARN) prevedono che un adeguato apporto di fibre nella dieta corrisponda ad almeno 25 g al giorno per gli adulti e circa 8 g al giorno per i bambini e purtroppo spesso questi valori non sono raggiunti nei nostri regimi alimentari.

[1] Lyon M. R., Kacinik V. Is there a place for dietary fiber supplements in weight management? Curr. Obes. Rep. (2012) 1, 59–67.

[2] Timm D., Slavin J. Dietary fiber and the relationship to chronic diseases. Am. J. Lifestyle Med. (2008) 2, 233–40.

[3] Koguchi T., Nakajima H., Koguchi H., et al. Suppressive effect of viscous dietary fiber on elevations of uric acid in serum and urine induced by dietary RNA in rats is associated with strength of viscosity. Int. J. Vitam. Nutr. Res. (2003) 73, 369–76.

[4] Kristensen M., Jensen M. G. Dietary fibres in the regulation of appetite and food intake. Importance of viscosity. Appetite (2011) 56, 65–70.

[5] Chaudhri O., Small C., Bloom S. Gastrointestinal hormones regu-lating appetite. Phil. Trans. Biol. Sci. (2006) 361, 1187–209.

[6] Dewulf E.M., Cani P.D., Neyrink A.M., et al. Inulin-type fructans with prebiotic properties counteract GPR43 overexpression and PPARgamma-related adipogenesis in the white adipose tissue of high-fat diet-fed mice. J. Nutr. Biochem. (2011) 22, 712–722.

[7] Delzenne N.M., Cani P.D. Interaction between obesity and the gut microbiota: relevance in nutrition. Annu. Rev. Nutr. (2011) 31, 15–31.

[8] Maurer A.D., Eller L.K., Hallam M.C., et al. Consumption of diets high in prebiotic fiber or protein during growth influences the response to a high fat and sucrose diet in adulthood in rats. Nutr. Metab. (2010) 7, 77.