Il diabete gestazionale

Il diabete gestazionale è una forma di diabete che può insorgere durante la gravidanza e si distingue per questo dal diabete di tipo 1, dovuto ad una disfunzione nella produzione di insulina, e dal diabete di tipo 2, dovuto ad una disfunzione nell’utilizzo di insulina. Il diabete gestazionale, così come le altre forme di diabete, è caratterizzato da elevati livelli di glucosio nel sangue, cioè da una condizione di iperglicemia, che può causare gravi conseguenze.

Il diabete gestazionale tende a scomparire spontaneamente dopo il parto ma può determinare una maggiore predisposizione al futuro sviluppo di diabete di tipo 2, per cui è una condizione cui porre particolare attenzione.

La diagnosi di diabete gestazionale si ha quando una donna in gravidanza ha un valore di glicemia a digiuno maggiore o uguale a 126 mg/dl oppure maggiore o uguale a 200 mg/dl in qualsiasi momento della giornata.

Le cause scatenanti possono essere molteplici ed alcune donne sono più predisposte rispetto ad altre. In generale il diabete può comparire in gravidanza a causa dei cambiamenti ormonali che si verificano, supportati da un aumento di peso. Generalmente la produzione di insulina viene regolata in modo da far fronte a tali cambiamenti, ma a volte non è sufficiente e dà luogo quindi ad una ridotta tolleranza al glucosio e di conseguenza al diabete gestazionale.

I fattori di rischio predisponenti sono: condizione di sovrappeso o obesità preesistenti rispetto all’inizio della gravidanza, familiarità per diabete, insulino-resistenza, precedenti gravidanze con diabete gestazionale, età superiore ai 35 anni, altri figli con peso alla nascita superiore ai 4,5 kg, sindrome dell’ovaio policistico, malattie del pancreas. I sintomi sono spesso poco evidenti tant’è che il diabete è spesso diagnosticato in seguito ad esami che si eseguono di routine durante la gravidanza.

Una volta avuta una diagnosi di diabete gestazionale è importante modificare lo stile di vita cercando di mangiare sano e di fare attività fisica e seguendo una dieta a basso indice glicemico. La futura mamma dovrebbe suddividere l’introito calorico giornaliero in 5 pasti e assicurarsi di assumere una buona quantità di fibre evitando allo stesso tempo fonti di zuccheri semplici e di grassi. Gli zuccheri semplici possono essere sostituiti da cereali integrali possibilmente in chicchi da consumare ogni giorno evitando invece le carni grasse e sostituendole con quelle magre e con il pesce e assicurandosi di mangiare tante verdure e legumi.

Sarà necessario monitorare la propria glicemia in momenti prestabiliti dalla giornata e se in seguito a questi accorgimenti non ci fossero miglioramenti nel metabolismo glucidico, il medico potrebbe consigliare una terapia farmacologica.

Diabete gestazionale: cos’è, cosa fare e come prevenirlo

Prevenire la carie a tavola

Prevenire la carie a tavola

La carie è una patologia dentale che degenera lentamente i tessuti del dente ed è causata da batteri patogeni che proliferano nella bocca nutrendosi dei residui di cibo. E’ la patologia più diffusa al mondo. Si stima infatti che circa il 90% della popolazione mondiale ne sia affetto e tale condizione colpisce anche i bambini.

La carie è spesso associata ad una cattiva igiene orale e al consumo di zuccheri “fermentabili”, cioè carboidrati che danno luogo a fermentazione nell’intestino ad opera della flora intestinale. A questa categoria appartengono gli zuccheri semplici, come glucosio, maltosio, fruttosio, ossia quelli contenuti nei dolci, che “alimentano” i batteri patogeni. Uno studio recente [1] ha dimostrato in che modo l’alimentazione influisce sulla salute dei denti in età pediatrica cambiando la composizione della flora batterica della superficie dentale. In tale studio sono stati analizzati i batteri presenti sulla superficie dei denti di alcuni bambini di 12 anni che presentavano delle carie. Sono così state individuate alcune popolazioni batteriche che causano la carie e che crescono in presenza di zuccheri semplici. Infatti, la maggior parte di questi bambini aveva una dieta particolarmente ricca di zuccheri semplici. Anche l’orario in cui consumiamo gli zuccheri ha la sua importanza, infatti un altro studio [2] dimostra che se tale consumo avviene nelle ore che precedono il riposo notturno il rischio di sviluppare carie diventa considerevolmente maggiore.

L’alimentazione ha, dunque, un’importanza fondamentale nella prevenzione della carie. Sarebbe bene abituare i bambini a tutti i gusti fin da piccoli e non solo a quello dolce. Soprattutto a non utilizzare il sapore dolce come consolazione per i neonati. I succhi di frutta, che spesso contengono zuccheri aggiunti, possono essere sostituiti con acqua arricchita da una fetta di limone, di arancia o da foglioline di menta fresca. Gli spuntini quotidiani, sia dei bambini che degli adulti, non devono consistere in cibi dolci ma possono essere costituiti da un frutto a basso tenore zuccherino (come albicocche, pesche, pompelmi, fragole, lamponi e altri frutti di bosco), da uno yogurt o da pezzetti di verdure crude, ad esempio carote e finocchi. Bisognerebbe prediligere alimenti ricchi di fibre come verdure, cereali integrali e legumi, che possiedono anche una buona quota di sali minerali importanti per la salute dei denti. Anche il latte e i latticini non dovrebbero mancare per il loro contenuto di calcio ma senza abusarne, poiché contengono lattosio che appartiene alla categoria degli zuccheri fermentabili. La frutta secca, infine, oltre a contenere molte vitamine e minerali, esercita una vera e propria azione abrasiva sul dente che previene il depositarsi di scorie.

In conclusione, la “ricetta” giusta contro la carie è una dieta varia e povera di zuccheri, associata ad una corretta igiene orale.

[1] Ribeiro A.A., Azcarate-Peril M.A., Cadenas M.B. et al. The oral bacterial microbiome of occlusal surfaces in children and its association with diet and caries. Plos One (2017) 5, 12.

[2] Goodwin M., Patel D.K., Vyas A. et al. Sugar before bed: a simple dietary risk factor for caries experience. Community Dent Health (2017) 34 (1), 8-13.

Il miglio

Il miglio
Perché consumare il miglio?

Il miglio è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Graminacee, si tratta quindi di un cereale. Tradizionalmente destinato all’alimentazione animale, è in realtà un cereale dalle notevoli proprietà nutrizionali tanto da essere oggi ampiamente utilizzato nell’alimentazione umana. Si presenta sotto forma di grani molto piccoli, dal colore che varia dal bianco, al giallo, al rosso. E’ una pianta originaria del Nord Africa, poi diffusasi ampiamente in Asia, in India e successivamente in Europa. I maggiori produttori di miglio destinato al consumo umano sono oggi la Cina, l’India e la Nigeria.

Il miglio è un’ottima fonte di nutrienti importanti, in particolare minerali quali il rame, il fosforo, il manganese ed il magnesio. Il magnesio è un minerale importante per il buon funzionamento del sistema cardiovascolare e si è dimostrato utile nella prevenzione di problemi cardiaci ed aterosclerosi. Il fosforo è un costituente importante degli acidi nucleici e dell’ATP, molecola fondamentale nei processi energetici che avvengono nelle cellule, è inoltre presente nella matrice delle ossa ed è un costituente essenziale delle membrane cellulari e delle strutture del sistema nervoso.

I benefici che il miglio apporta alla nostra salute sono molteplici.

Contribuisce ad abbassare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, molto probabilmente grazie all’azione del magnesio, che agisce come cofattore in molte reazioni enzimatiche implicate nella secrezione dell’insulina e nel metabolismo del glucosio.

Protegge dal rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, grazie alla presenza dei lignani, dei composti fenolici che sono abbondanti nel miglio ed in altri cereali integrali. A partire dai lignani la nostra flora batterica intestinale è in grado di sintetizzare dei composti, fra cui l’enterolattone che si pensa possa avere azione preventiva contro alcune patologie cardiache contro il cancro al seno.

Il miglio migliora molti disturbi tipici della post-menopausa nelle donne ed in particolare contribuisce ad abbassare I livelli di colesterolo nel sangue e regolarizzare la pressione arteriosa, come dimostrato da uno studio del 2005 [1].

Previene obesità ed insulino resistenza grazie alla cospicua presenza di fibre. Allo stesso tempo migliora l’elasticità dei vasi sanguigni e il metabolismo delle ossa grazie alla presenza di fitoestrogeni e minerali.

Aiuta a prevenire la formazione dei calcoli biliari e ciò molto probabilmente è dovuto alla presenza di fibre insolubili che oltre a regolare il transito intestinale sono in grado di ridurre la secrezione di acidi biliari, i principali responsabili della formazione dei calcoli.

E’ utile nella cura dei capelli e delle unghie fragili poiché contiene aminoacidi solforati, che sono alla base della loro struttura, oltre che di vitamine del gruppo B fra cui l’acido folico.

E’ facilmente digeribile, può essere infatti utilizzato durante lo svezzamento.

Inoltre è un calmante e antistress naturale per la presenza di serotonina, un neurotrasmettitore che regola oltre ad altri processi, anche il tono dell’umore.

Dal punto di vista nutrizionale il miglio è un ottimo cereale dal momento che contiene proteine di elevato valore biologico ed è un’eccellente fonte di carboidrati, oltre che di fibre, vitamine e minerali. Il miglio decorticato, ossia quello privato della cuticola esterna è indicato nella dieta dei celiaci poiché privo di glutine.

Un consiglio utile è quello di acquistare miglio biologico e conservarlo al fresco a al riparo dalla luce, in questo modo conserva le sue proprietà nutrizionali per mesi. Non ha bisogno dell’ammollo e si dovrebbe mangiare senza eliminare l’acqua di cottura, per non perdere importanti nutrienti in essa disciolti.

[1] Erkkila A.T., Herrington D.M., Mozaffarian D., Lichtenstein A.H. Cereal fiber and whole-grain intake are associated with reduced progression of coronary-artery atherosclerosis in postmenopausal women with coronary artery disease. Am. Heart J. (2005) 150, 94–101.

I dolcificanti artificiali e i rischi per la salute

I dolcificanti artificiali e i rischi per la salute

“I dolcificanti artificiali inducono intolleranza al glucosio alterando il microbiota intestinale.”

E’ questo il titolo di un lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Nature lo scorso ottobre da un gruppo di ricercatori israeliani [1].

I dolcificanti artificiali sono fra i più diffusi additivi alimentari utilizzati nel mondo e a causa del loro basso contenuto calorico sono generalmente considerati sicuri e utili, soprattutto per i soggetti che hanno problemi di peso. Tuttavia nel mondo scientifico sono sorti molti dubbi riguardo la loro sicurezza.

Molti dolcificanti artificiali passano attraverso il tratto gastro-intestinale senza essere digeriti [2] e quindi entrano direttamente a contatto con il microbiota intestinale, cioè con la flora batterica che colonizza normalmente le vie digerenti e che ha un ruolo fondamentale in molti processi fisiologici. Il microbiota intestinale, infatti, ha un ruolo chiave nello sviluppo di stati di sovrappeso, obesità, diabete e sindrome metabolica [3,4].

In questo studio sono stati utilizzati gruppi di topi a cui sono stati somministrati acqua e glucosio e gruppi a cui sono stati somministrati dolcificanti artificiali. Questi ultimi hanno sviluppato intolleranza al glucosio (una condizione in cui il glucosio presente nel sangue assume valori elevati). Inoltre, la composizione della loro flora batterica è risultata significativamente alterata rispetto ai topi alimentati con acqua e glucosio, dimostrando l’effetto diretto dei dolcificanti sul microbiota intestinale.

Gli stessi autori hanno voluto confermare gli effetti dei dolcificanti artificiali sull’uomo analizzando vari parametri clinici di individui sani che facevano consumo abituale di dolcificanti artificiali. Tali parametri (aumento del peso corporeo, glicemia a digiuno, valori dell’emoglobina glicosilata e di enzimi epatici) sono risultati significativamente alterati rispetto a quelli di individui che non facevano uso di dolcificanti artificiali, dimostrando il rapporto diretto fra uso abituale di dolcificanti e sviluppo di patologie metaboliche. Viene dimostrato quindi che l’abuso di dolcificanti non calorici negli ultimi anni ha contribuito direttamente allo sviluppo di quelle stesse patologie che tali sostanze avevano lo scopo di combattere.

Queste conclusioni confermano i risultati di studi precedenti che hanno già evidenziato che molti dei ceppi batterici che subiscono modifiche in seguito al consumo di dolcificanti artificiali sono associati allo sviluppo di diabete di tipo 2 ed obesità nell’uomo [4,5].

In conclusione, quando vogliamo concederci un caffè o una bibita addolciamola con il comune zucchero avendo cura di moderarne la quantità.

[1] Suez J. et al. Artificial sweeteners induce glucose intolerance by altering the gut microbiota. Nature (2014) 514, 181-186.

[2] Roberts A., Renwick A.G., Sims J. and Snodin D.J. Sucralose metabolism and pharmacokinetics in man. Food Chem Toxicol (2000) 38 (Suppl.2), 31-34.

[3] Ley R.E., Turnbaugh P.J., Klein S. and Gordon J.I. Microbial ecology: human gut microbes associated with obesity. Nature (2006) 444, 1022-1023.

[4] Qin J. et al. A metagenome-wide association study of gut microbiota in type 2 diabetes. Nature (2012) 490, 55-60.

[5] Karlsson F.H. et al. Gut metagenome in European women with normal, impaired and diabetic glucose control. Nature (2013) 498, 99-103.

Dieta e carboidrati

Dieta e carboidrati
Per perdere peso occorre eliminare i carboidrati?

Molte persone sono convinte che per dimagrire si debbano eliminare i carboidrati dalla dieta, ma è davvero così?

Per rispondere a questa domanda è necessario innanzitutto considerare che i carboidrati introdotti con l’alimentazione sono essenziali per l’organismo poiché sono l’unica fonte energetica per il cervello. In condizioni di carenza di glucosio nel sangue, perché ad esempio si segue una dieta priva di carboidrati, l’organismo userà il glicogeno epatico e muscolare per sintetizzare glucosio e una volta esaurita tale riserva utilizzerà le proteine muscolari. Quando anche queste saranno terminate esso comincerà ad utilizzare i corpi chetonici derivati dal metabolismo dei lipidi come fonte energetica, causando l’acidosi metabolica, uno stato che causa danni importanti ai reni, al sistema cardiovascolare e alle ossa.

Nei primi giorni in cui si segue una dieta carente in carboidrati si avrà, effettivamente, una rapida perdita di peso. Questa non è però dovuta ad una riduzione della massa grassa bensì alla perdita del glicogeno muscolare e dell’acqua ad esso legata. Un regime alimentare di questo tipo non può essere seguito a lungo perché ben presto subentrano i sintomi della mancanza del glucosio (stanchezza muscolare e affaticamento, anche mentale) e non appena verranno reintrodotti i carboidrati nella dieta i chili persi saranno prontamente recuperati per ripristinare le riserve di glicogeno e di acqua ad esso legata.

Per perdere peso, dunque, più che eliminare i carboidrati dalla dieta, bisogna scegliere quelli giusti, ossia quelli a basso indice glicemico contenuti, ad esempio, nei cereali integrali, nei legumi, nella frutta e nella verdura.